Scrivo questo articolo rivolto principalmente a me stesso, perché sento il desiderio di rispondere a una domanda che ho sempre avuto in testa da quando ho iniziato a praticare arti marziali. Nonostante ciò vorrei condividere a tutti i praticanti questa lettura con l’augurio che possa essere uno spunto di riflessione per chi leggerà questo testo.
Perché una persona dovrebbe praticare arti marziali tradizionali al giorno d’oggi? Che senso hanno queste discipline se non esistono più i samurai e se la maggior parte di noi non deve andare più in guerra?
La risposta per me è sempre stata molto chiara, anche se può risultare scontata o banale: la crescita dell’individuo.
Originariamente concepite come strumento da usare in battaglia per sconfiggere ed eventualmente uccidere il proprio nemico, sono divenute col tempo uno strumento di formazione della persona, dato che oltre a forgiare il corpo del praticante, trasmettono valori come la disciplina e il rispetto verso altro.
Vorrei fare una precisazione. Quando mi riferisco al metodo tradizionale mi riferisco ad un metodo duro, che ti mette alla prova sia fisicamente che mentalmente. Questo metodo non viene seguito da molte scuole di arti marziali perché non tutti i praticanti riescono ad accettarlo o a sopportarlo. Nella nostra scuola gli allenamenti possono risultare molto duri a causa del dolore fisico o della stanchezza che tali sforzi possono indurre.
Inoltre per la nostra scuola è molto importante il rispetto delle tradizioni e dei maestri e la pratica marziale non è vista solo come un apprendimento di tecniche ma come importante strumento di formazione spirituale.
Cose come il dolore fisico, il rispetto delle tradizioni e dei maestri sono parte integrante del metodo e senza di essi non ci sarebbe una reale crescita dell’individuo.
Sono parti imprescindibili della formazione e non si può farne a meno.
A volte capita di ricevere un pugno in faccia e certe volte succede che il Maestro ti rimprovera duramente e con severità. È proprio in questi casi che bisogna non lasciarsi cadere nella tentazione di fuggire dal dolore oppure di rispondere o non ascoltare il Maestro.
Un praticante che riuscirà a superare le avversità della pratica riuscirà a trasformare il proprio corpo e la propria mente.
Il corpo, oltre ad irrobustirsi per gli allenamenti, sarà in grado di sopportare il dolore e la fatica: non sarà più il più piccolo fastidio a farmi smettere ma sarò io a dire al mio corpo cosa fare!
Se il corpo è il primo scoglio da superare, è tuttavia la mente il nostro avversario più temibile. Sempre pronta a dirci di smettere e a dubitare di noi stessi: la pratica ci insegna a domarla. Ogni volta che la nostra mente ci dice di fermarci, nonostante la fatica, il dolore, la stanchezza, dobbiamo dire di no e proseguire.
Sopportare le difficoltà, stare nel momento presente, stare con il dolore, saper dire di no, è questo l’unico segreto per diventare una persona “veramente forte”, per diventare una persona disciplinata, con sani valori e coerente.
È pertanto necessario allenare il corpo e la mente per una reale crescita personale e spirituale.
Le prime volte che mi allenai nel Sakushinkan vidi praticare gli allievi più “anziani” (allievi con più esperienza) e ne rimasi impressionato. Pensai tra me e me: “io voglio diventare come loro”.
Fino a quel momento sapevo di non avere quell’abilità fisica e soprattutto di non avere quella forza interiore che gli altri invece dimostravano.
Quando però vidi la possibilità che io tra tutti sarei potuto cambiare, che sarei potuto diventare una persona migliore, scattò qualcosa dentro di me.
Da quel momento sapevo che mi sarei impegnato al massimo per raggiungere il loro livello.
I limiti che vedevo in me, che erano fermi da anni e che pensavo difficilmente avrei potuto modificare, iniziarono a diventare opportunità e tutto ciò che pensavo di me iniziò a cambiare e a trasformarsi.
La realizzazione di tutto questo mi diede la spinta a continuare e oggi, a distanza di due anni e mezzo, nonostante i momenti difficili, le pratiche estenuanti e i momenti in cui ho dubitato delle mie scelte, sono convinto che questo sia il motivo che mi spinge a perseverare nella pratica.
Un vero praticante sa che non c’è differenza tra la pratica in dojo e la vita quotidiana. Il me stesso che fa la tecnica con fiducia e determinazione non deve essere diverso dal me di tutti i giorni. Se così non fosse, che senso avrebbe praticare arti marziali?
Per questo motivo vedo il dojo come un luogo di formazione del carattere della persona.
Il keiko (l’allenamento) è il momento in cui si va oltre i propri limiti e si cerca di superare le abitudini scorrette e i pensieri nocivi.
Una volta finito il keiko e uscito dal dojo dovrò applicare quello che ho imparato nei momenti di vita quotidiana. Tutti affrontiamo dei problemi nella nostra vita ma la pratica ci da quella stabilità fisica ed emotiva che ci permette di vivere questi momenti con calma e fermezza.
Un praticante che incarna il metodo è una persona che saprà affrontare le difficoltà della vita quotidiana, che siano piccole o grandi.
Anche questa sembra una verità scontata ma tante volte ho visto persone che non riescono a superare i propri problemi e che purtroppo vengono schiacciati da essi. Per un periodo lo è stato anche per me.
Purtroppo, o perfortuna, io stesso sono l’unico in grado di agire su di me per cambiare, e nessun altro può farlo al posto mio.
Come dice il Buddha:
“Noi stessi, invero, siamo il rifugio di noi stessi. Chi altro potrebbe essere il nostro rifugio?”.
Pertanto sono io l’unico in grado di mettere nella pratica la giusta determinazione e solo io so se il mio impegno è veritiero rispetto ai miei obiettivi. Né il mio Maestro, né i miei compagni di dojo potranno farmi cambiare in meglio se non sono io il primo che desidera tutto ciò.
Il nostro Maestro ci trasmette degli strumenti ma siamo noi a doverli applicare.
Temo che lavorare su noi stessi sarà sempre più difficile. Dobbiamo scontrarci con un mondo che sempre di più sembra ostacolare questi percorsi.
Pieno di comodità ma anche di tante distrazioni, veloce ma stressante allo stesso tempo, che premia chi sa cavalcare l’onda ma che lascia indietro i più deboli.
Il mondo di domani è qualcosa su cui dobbiamo fare i conti oggi.
Chi sarà colui o colei che saprà affrontare questo futuro? Vogliamo delegare agli altri questa possibilità oppure saremo noi a coglierla?
È importante per tutti noi, iniziare a investire su noi stessi.
Francesco
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